(Nadia Campana. Da “Poesia” novembre 1990)
Per Nadia Campana.
di Maria Pia Quintavalla
Visto l’ultimo film di Marina Spada su Antonia Pozzi, ho – inevitabilmente – pensato a Nadia. Al frammento che si usa, come forma artistica, quando si deve ri-costruire o riparare alla pochezza, in un gesto d’amore, della memoria. Sono delle ricercate, delle scomparse.
Ho trovato grande l’analogia creata nel film, fra l’immagine di Antonia Pozzi, che sbocconcella e poi sputa, di nascosto, nel palmo della mano, l’arancia, subito dopo un’immagine eco cardiaca, diastole e sistole: la timidezza di lei rivelata. Così bella, altrettanto, sempre nel film, la sacralità di rivisitarne lentamente i luoghi vissuti. Se questo rito è vero, dà salvezza, e noi dovremmo terminare quelle tappe di avvicinamento al luogo natale (e mortale), per lei, di Cesena.
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